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Il termine Neuroblastoma si riferisce ad un gruppo di tumori maligni dei primi anni di vita originati dai residui del sistema nervoso periferico. La sede più frequente è l’addome dove interessa le ghiandole surrenaliche o i gangli simpatici paraspinali.
L’incidenza complessiva nei bambini fino ai 15 anni è di 8-10 casi per milione all’anno (circa 130 casi nuovi ogni anno in Italia). In età pediatrica è la terza neoplasia per frequenza dopo le leucemie e i tumori cerebrali, rappresenta infatti l’8-9% di tutti i tumori maligni dei bambini ed è di gran lunga il tumore più frequente nei primi 5 anni di vita con un età media alla diagnosi di circa 2 anni. Inoltre, più della metà dei tumori diagnosticati nel periodo neonatale (cioè nel primo mese di vita) sono Neuroblastoma.
Dal punto di vista clinico il Neuroblastoma presenta alcune peculiarità:
I sintomi più diffusi della malattia sono: febbre, anemia, inappetenza, dolori ossei ed ecchimosi alle palpebre. Le metastasi, frequenti e precoci, colpiscono ossa, linfonodi, fegato e midollo osseo.
Spesso i sintomi iniziali dipendono dalla compressione che la massa tumorale esercita sugli organi vicini. Inoltre, i sintomi della malattia possono trarre in inganno poiché riconducibili a stati influenzali (quali pallore, anoressia, cambio d’umore, rifiuto a camminare). Questo spiega perché la diagnosi di Neuroblastoma è così spesso ritardata, specialmente quando il tumore primitivo è di piccole dimensioni o localizzato nel retroperitoneo, sede molto difficile da raggiungere con l’esplorazione clinica.
Il Neuroblastoma può infiltrare i forami vertebrali determinando compressione midollare: questa manifestazione della malattia è difficile da scoprire nei piccoli pazienti a meno che non si dia grande attenzione a sintomi aspecifici come irritabilità e ipotonia negli arti inferiori. Inoltre, in circa l’80% dei casi della malattia, il tumore produce quantità abnormi di amine simpatiche che possono provocare ipertensione e che vengono evidenziate nelle urine tramite un test apposito.
La diagnosi di Neuroblastoma va eseguita e confermata in un istituto di cura specializzato, effettuando analisi mirate; questa è una fase importante per stabilire l’estensione della malattia (ossia lo stadio) e decidere la cura appropriata.
Le indagini indicate per la diagnosi comprendono fra le altre:
- la scintigrafia con MIBG eseguita iniettando una sostanza, la guanidina, legata a iodio radioattivo, che viene catturata solo dalle cellule di Neuroblastoma, mettendo inequivocabilmente in evidenza il tumore e le sue metastasi. Si tratta di un esame non dannoso, né doloroso, che richiede una preparazione specifica, cioè l’assunzione orale di iodio (in forma di gocce di Lugol), per evitare che lo iodio radioattivo vada a fissarsi sulla tiroide recandovi danni anche irreparabili;
- la scintigrafia scheletrica, eseguita iniettando nel sangue un isotopo radioattivo che va a fissarsi nelle ossa ovunque esista una lesione, viene ormai eseguita solo nei casi in cui la scintigrafia con MIBG risulti negativa anche sul tumore primitivo;
- la biopsia, prelievo di alcuni frammenti di neoplasia dai quali acquisire informazioni importantissime sulle caratteristiche istologiche e biologiche del tumore;
- lo studio del midollo osseo con l’ago aspirato e la biopsia osteomidollare.
Solo dopo aver effettuato tutte le analisi citate e dopo l’intervento chirurgico (sia esso per rimuovere la massa tumorale o per il prelievo di un frammento della neoplasia per l’esame istologico) è possibile avere un quadro completo della malattia, definire la prognosi ed impostare il trattamento.
Il tipo di terapia va deciso in base all’età del bambino (i bambini di età inferiore ad un anno di vita hanno in genere un prognosi più favorevole), all’estensione della malattia, ossia lo stadio del tumore, e alle caratteristiche genetiche delle cellule tumorali.
Negli ultimi anni, grazie a un notevole sforzo cooperativo internazionale sono stati sviluppati protocolli di terapia basati sul rischio di ricaduta della malattia e sulle caratteristiche genetiche del tumore. I pazienti vengono così classificati a basso rischio, a medio o alto rischio (International Neuroblastoma Risk Group [INRG] classification).
Nei protocolli vi sono tre trattamenti consolidati e ben sperimentati: la chirurgia, la radioterapia e la chemioterapia. I nuovi protocolli, tuttavia, hanno inserito due nuovi aspetti che derivano dallo studio della genetica del tumore e dei nuovi farmaci. In particolare, questi nuovi aspetti riguardano:
Quest’ultima fase utilizza un farmaco che riconosce specificamente la cellula di neuroblastoma e attiva su di essa il sistema immunitario eliminandola, consentendo di ridurre significativamente la ricomparsa dopo qualche mese della malattia e aumentando le possibilità di guarire.
Per quanto riguarda, invece, le sperimentazioni in atto:
Diversi sono i campi di ricerca applicata che si stanno portando avanti
per l'Istituto Giannina Gaslini. In particolare, negli ultimi anni ci siamo concentrati:
- sullo sviluppo di modelli che consentano di identificare nuovi farmaci, individuare alterazioni geniche bersaglio di farmaci specifici e testare la sensibilità del paziente a nuovi farmaci;
- sulla biopsia liquida nella diagnosi e monitoraggio della resistenza alla terapia, ovvero nell’individuare nel sangue periferico del paziente vecchi e nuovi biomarcatori della presenza e delle caratteristiche della malattia, della resistenza al trattamento, gli indicatori di suscettibilità ai singoli chemioterapici e le informazioni per un potenziale utilizzo della terapia immunologica.
Spiega il Dott. Alberto Garaventa, Direttore dell'Unità Operativa Complessa di Oncologia presso l'IRCCS Istituto Giannina Gaslini.
La biopsia liquida rappresenta un modo molto interessante per ovviare alla invasività e alla quantità limitata di tessuto ottenibile con la biopsia o la microbiopsia, nonché un’alternativa per quei pazienti che non possono essere sottoposti a biopsia tissutale.
Inoltre, aggiunge:
Un ulteriore campo di recente interesse è il microbioma. Negli ultimi anni è stato dimostrato come la flora microbica intestinale (microbiota), composta da un insieme di circa 3 x 1013 microrganismi, prevalentemente batteri commensali, il cui materiale genetico, il microbioma, contiene circa tre milioni di geni, svolga un ruolo importante nel modulare la risposta immunitaria. In ambito oncologico ultimamente è cominciato ad apparire sempre più evidente che il microbiota si correlerebbe strettamente con fenomeni di cancerogenesi e di induzione di patologie autommuni/autoinfiammatorie, così come con la risposta ad alcuni trattamenti, in particolare all’immunoterapia.
Nel caso del neuroblastoma (NB) non esistono informazioni specifiche, ad eccezione del fatto che il microbioma di topi con NB appare diverso rispetto a quello degli animali sani.
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