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Quando la malattia di Parkinson viene giovanile quando si manifesta tra i 20 e i 50 anni. Nel mondo, si stimano 5 milioni di malati parkinsoniani, dei quali il 10-20% presenta la forma ad esordio precoce. Esiste anche una tipologia molto rara di Parkinson giovanile che insorge prima dei 20 anni.
Ecco cosa leggerai in questo articolo:
Si definisce Parkinson giovanile la forma precoce della malattia, i cui sintomi motori e non motori si presentino tra i 20 e i 50 anni di età con caratteristiche peculiari rispetto alla forma ad esordio tardivo. Sulla fascia di età da considerare, non c’è, però, totale consenso nel mondo scientifico. Secondo alcuni/e, occorre distinguere tra Parkinson giovanile, forma rarissima della malattia che insorge prima dei 21 anni, e forma ad esordio precoce che può presentarsi tra i 21 anni e i 40-55 anni, focus di questo articolo.
Dal momento che la forma tardiva della malattia di Alzheimer, di gran lunga la più diffusa, in genere si manifesta tra i 60 e i 70 anni, esiste una sorta di zona grigia che interessa la fascia di età tra i 50 e i 60 anni difficilmente collocabile tra le due classificazioni.
In ogni caso, più precocemente si presentano i sintomi, maggiore sarà l’impatto del Parkinson sulla qualità di vita della persone che ne viene colpita, così come maggiori saranno gli effetti collaterali delle terapie farmacologiche.
Si stima che nei Paesi con elevate aspettative di vita, il Parkinson sia in aumento, tanto da colpire 2000 over 80 ogni 100 mila abitanti. La prevalenza della forma giovanile, intendendosi ad esordio precoce, si stima tra il 5-7% e il 20% sul totale dei casi, con forti differenze geografiche.1,2
La malattia di Parkinson sia nella forma giovanile ad esordio precoce, che in quella tardiva, ha prevalentemente cause genetiche, sulle quali incidono anche fattori ambientali tra cui:
Tuttavia, quando il Parkinson esordisce in età precoce, in genere c’è una forte familiarità alla patologia. Seppur non abbia valore predittivo, il fatto di avere uno o più familiari con il Parkinson rappresenta un fattore di rischio da considerare anche per la forma giovanile del morbo.
Da tempo conosciamo le mutazioni genetiche che sono all’origine del Parkinson, che a seconda del gene coinvolto possono dare sintomi più o meno importanti e dirci la velocità di progressione della malattia. Tuttavia, sottoporsi a test genetici per prevedere il rischio di ammalarsi non è pratica consigliata.
Questa procedura dovrebbe essere infatti preceduta da una consulenza specifica su ciò che comporta il sottoporsi al test, sul significato di una eventuale positività ad una o più mutazioni legate al Parkinson, e su quanto questo incida sulla probabilità reale di ammalarsi prima dei 50 anni. Non tutti siamo attrezzati a convivere con un bagaglio informativo sulla nostra salute presente e futura così pesante.1,2,3,4
Il Parkinson ha prevalentemente cause genetiche, ma non è una malattia ereditaria. Avere un genitore malato aumenta un pochino il rischio soprattutto se ha sviluppato la forma giovanile, ma non significa affatto che un figlio/a si ammalerà di Parkinson ad esordio precoce o tardivo.
Ciò che contribuisce ad aumentare le probabilità di ammalarsi è piuttosto il fattore familiare, che si verifica quando più persone della famiglia hanno una forma di Parkinson. Più mutazioni genetiche sono presenti nei singoli genomi di ogni membro stretto della famiglia, ovvero nonni e nonne, genitori, fratelli/sorelle, maggiore è la probabilità di averne ereditato qualcuna.1,2,4
Rispetto alla forma tardiva, quella giovanile di Parkinson presenta sintomi motori e non motori che ricorrono con più frequenza come:
Il Parkinson, quando esordisce in età giovanile, tende ad avere una progressione più lenta. Tuttavia, l’impatto della patologia sulla vita delle persone può essere devastante, soprattutto perché è frequente un ritardo diagnostico, dovuto al fatto che i sintomi difficilmente vengono subito associati alla malattia con un conseguente aumento anche dei sintomi non motori del Parkinson, tra cui ansia e depressione.
Dal momento che i disturbi si verificano nel pieno della vita attiva della persona, possono ripercuotersi negativamente sulla professione, e questo a sua volta comporta disagi economici. Viceversa, una diagnosi tempestiva permette di ricevere cure adeguate che danno sollievo e rallentano il decorso del Parkinson, migliorando anche la qualità generale di vita e la prognosi.1,2,4
Entrambe le forme di Parkinson, sia giovanile che tardiva, si curano allo stesso modo, ovvero con la terapia dopaminergica. Tuttavia, per ritardare il più possibile le discinesie provocate nelle persone con Parkinson ad esordio precoce dall’assunzione del Levodopa, oggi i/le neurologi/e tendono a posticiparne la prescrizione.
In questi casi la terapia per il contenimento dei sintomi motori può avvalersi di farmaci alternativi, tra cui gli inibitori delle monoamino ossidasi (MAO-B), amantadine, altri antagonisti della dopamina o, qualora i tremori fossero particolarmente fastidiosi, farmaci anticolinergici.1,2,4
No, la malattia di Parkinson, in ogni sua forma inclusa quella giovanile ad esordio precoce è una patologia neurologica cronica, degenerativa, che non guarisce mai una volta abbia esordito con i suoi sintomi. Alcune forme sono meno severe di altre e la sintomatologia può peggiorare molto lentamente.
Le terapie farmacologiche oggi disponibili, così come i trattamenti coadiuvanti, sono efficaci nel trattamento dei sintomi motori e non motori, rallentano il decorso del Parkinson giovanile e consentono di condurre una vita del tutto soddisfacente, come raccontato anche in alcuni film.1,3
Le persone con Parkinson giovanile hanno in media un’aspettativa di vita di 38 anni dal momento della diagnosi. Questo significa che, se la malattia è stata diagnosticata a 45 anni, le aspettative di vita sono simili a quelle della popolazione generale.
La forma ad esordio precoce della malattia è, infatti, quella che presenta il decorso più lento, ed in generale il Parkinson è la patologia neurodegenerativa che progredisce più lentamente, pertanto associata a prospettive di vita tutto sommato buone, soprattutto se non insorgono sintomi cognitivi importanti. L’importante è seguire con scrupolo la cura e soprattutto gestire i sintomi anche con le attività di supporto, ad esempio lo sport. Ricordiamoci, infatti, che il morbo di Parkinson non è di per sé mortale.5