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Molte persone che tentano di smettere di fumare, al primo tentativo, non ci riescono. Sono necessari diversi tentativi per avere successo, poiché la nicotina presente nelle sigarette provoca dipendenza. Quando viene inalata, infatti, favorisce il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore associato al piacere. Nell’articolo ti spieghiamo i meccanismi cerebrali che spingono a fumare nonostante i ben noti rischi per la salute.
La nicotina è una sostanza alcaloide, di per sé inodore, contenuta nelle foglie del tabacco, che viene definita psicoattiva. Significa che, una volta inalata con il fumo delle sigarette, arriva velocemente al cervello attraverso il flusso sanguigno, dove agisce stimolando il rilascio di specifici neurotrasmettitori, in particolare la dopamina, legati al cosiddetto circuito della ricompensa.
La caratteristica principale della nicotina è pertanto quella di indurre una immediata sensazione di piacere che tuttavia varia da persona a persona e dalla quantità di sigarette fumate. A basse dosi, la nicotina genera euforia, eccitazione, seppur non nella misura di altre droghe. Ad alte dosi può, al contrario, portare ad una condizione di relax e di calma.
Oltre a indurre sensazioni piacevoli, la nicotina agisce sul cervello in modo “positivo” stimolando la capacità di concentrazione, l’attenzione e la memoria. L'effetto euforizzante della sigaretta è però di breve durata, questa è la ragione per cui la persona tabagista sente la necessità di assumere un’altra dose di nicotina, e di fumare un’altra sigaretta. La dipendenza si instaura nel momento in cui diventa impossibile ritrovare senza sigarette lo stesso livello di benessere, e quindi la stessa qualità di vita, e spiega perché smettere di fumare sia così difficile e richieda, nella maggior parte dei casi, più tentativi.1,2,3
Una volta accesa la sigaretta e inalato il primo tiro di fumo, la nicotina arriva ai polmoni, da qui si riversa nel flusso ematico e in appena 10 secondi giunge al mesencefalo, nella regione del cervello detta Area Tegmentale Ventrale. Si tratta della zona in cui si trovano i recettori nicotinici dell’acetilcolina, ai quali la nicotina si “aggancia”.
Questi recettori fanno parte del circuito dopaminergico della ricompensa, e innescati dalla nicotina si attivano, portando al rilascio non solo della dopamina, ma anche di altri neurotrasmettitori collegati con le sensazioni di piacere e di eccitazione, tra cui la serotonina.
Ecco allora che fumare stimola la produzione di tutti quegli ormoni del “buon umore” che fanno stare bene e sentire “intelligenti”. Non si tratta affatto di sensazioni illusorie, perché gli effetti positivi, nell’immediato, della nicotina sulle funzioni cerebrali sono noti e includono:
Con una sola sigaretta si arriva ad un picco di piacere e di benessere che però sfuma nel giro della stessa. Il ciclo ricomincia con una nuova sigaretta perché i recettori dell’acetilcolina, una volta attivati dalla nicotina, generano nuovi collegamenti neuronali del circuito dopaminergico che a loro volta portano al rilascio di nuovi picchi dei neurotrasmettitori del piacere.
La breve gratificazione ricavata dal fumo spinge a includere le sigarette in una routine legandole a precisi momenti della giornata e ad attività a loro volta legate al circuito della ricompensa o all’impegno mentale. Così si apre la strada alla dipendenza.1,2,3
L’azione “positiva” della nicotina sul cervello, con la formazione di nuovi collegamenti neuronali nel circuito della dopamina, è di breve durata. Aumentando il numero di sigarette, come accade quando il fumo diventa un'abitudine quotidiana, i recettori nicotinici dell’acetilcolina non sono più in grado di produrre nuove sinapsi, rendendo il corpo meno sensibile agli effetti piacevoli della stessa.
Si verifica quella che viene definita assuefazione, o tolleranza, una condizione in cui per ottenere lo stesso rilascio di dopamina, e quindi raggiungere lo stesso grado di benessere delle prime sigarette è necessario aumentare progressivamente il numero. A causa della plasticità del cervello, organo capace di adattarsi rapidamente agli stimoli continui di molecole psicoattive come quelle della nicotina, lo sviluppo di una dipendenza è a quel punto inevitabile.1,2,3
La dipendenza dalla nicotina ha aspetti molto più complessi di quanto si immagini. Esistono fattori storici che rendono il fumo accettabile socialmente e anzi, ne amplificano il ruolo seduttivo in modo trasversale, legati al modo con cui le sigarette sono state rappresentate dai media e dalla cultura.
In adolescenza le sigarette sono viste come un simbolo di trasgressione, o, al contrario, di emulazione di figure di pari o adulte di riferimento, non esclusi i genitori se tabagisti.
Non solo, a causa degli effetti stimolanti sulle capacità cognitive, sulla memoria e sul self control della nicotina, la sua pericolosità non viene percepita, nonostante da tempo siano conosciute le conseguenze deleterie sulla salute nel breve e lungo termine. Ciò spiega perché avvisi e restrizioni alla vendita non fungano da reale deterrente.
Vi sono inoltre aspetti psicologici e comportamentali che concorrono a creare e mantenere la dipendenza da nicotina. Ad esempio:
Quando la persona tabagista smette improvvisamente di fumare il cervello reagisce inviando segnali di malessere, legati al brusco calo dei livelli di dopamina circolanti, al fine di indurre una nuova introduzione di nicotina.
Sintomi di astinenza sono o possono essere:
Chiunque può sviluppare una dipendenza dalla nicotina, tuttavia esistono fattori di rischio psicologici, biologici e ambientali che aumentano le probabilità di diventare tabagisti/e. Sono pertanto più predisposte a diventare dipendenti dal fumo di sigaretta le persone che: