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Numerosi sono i testi e le pubblicazioni scientifiche che trattano il disagio alimentare. Ci si interroga per comprenderne le cause, ci si informa sulle conseguenze, ci si domanda se e come sia possibile affrontarlo e prevenirlo.
Di rado, invece, ci si occupa dei familiari e di chi è accanto a chi manifesta la propria sofferenza. Soffre chi è portatore del disagio, ma soffre anche chi ama.
Il nucleo familiare è un sistema e, come avviene in qualsiasi sistema, ogni membro influenza l’altro. Il sistema che funziona seguendo il suo specifico ritmo e/o movimento subisce, con l’arrivo del disagio, un colpo intenso, una scossa significativa.
Qualcosa è avvenuto, qualcosa sta cambiando. Un membro del sistema introduce qualcosa di nuovo. Cosa fare?
In questo articolo parleremo di:
Prima di agire è necessario provare a domandarsi cosa stia accadendo.
Il disturbo del comportamento alimentare, in tutte le sue espressioni, è determinato da un complesso intreccio di fattori alimentato da dinamiche disfunzionali.
È chiaro che ogni famiglia, compagno/a, genitore, fratello, sorella, si trovi a dover gestire stati emotivi nuovi, intensi, spesso confusi, caotici, poco chiari.
I primi stati emotivi percepiti sono il disorientamento e la destabilizzazione. La quotidianità a cui si è sempre stati abituati viene travolta e sconvolta. Ciò che prima era una certezza, adesso non lo è più. L'ambiente familiare si trova spiazzato da qualcosa “che non sembra più lo stesso” e che “non si riesce più a riconoscere”.
Spesso il senso di colpa e la rabbia incastrano i membri coinvolti in una spirale che contribuisce al mantenimento del disagio. Focalizzarsi unicamente sulla ricerca “del colpevole”, sull’ipotetico errore compiuto, sull’evento specifico, non fa altro che allontanare coloro che soffrono dalla possibilità di costruire un dialogo autentico e supportivo.
Il senso di colpa e la rabbia impediscono di vedere le possibili vie d’uscita, causano dissapori tra i familiari che spesso si incolpano a vicenda, alimentano e cronicizzano il disagio stesso. Allo stesso modo, è importante non colpevolizzare chi è portatore della sofferenza sintomatologica.
La vergogna spesso provata sia da chi si trova in tale spirale che da chi è a lui/lei vicino contribuisce alla negazione del problema e all’isolamento. Sarebbe importante, invece, cercare un ambiente supportivo in grado di contenere e accogliere gli stati emotivi complessi.
A ciò si aggiunge il pensiero fallace che vede il disagio come un semplice capriccio, capace di esser superato attraverso la forza di volontà, un capriccio volto ad attirare l’attenzione altrui.
Quando si parla di DCA, la questione non è il cibo, per cui l’attenzione non va focalizzata costantemente e unicamente su di esso.
È utile aiutare il soggetto attraverso la costruzione del dialogo empatico, dell’ascolto sincero e autentico, privo di pregiudizi e preconcetti.
Spesso i disturbi del comportamento alimentare si manifestano in una fascia d’età in cui si è vulnerabili, in un momento di profondo cambiamento, in cui il soggetto stesso si sente smarrito e diviene impossibile dar voce al proprio malessere.
È altrettanto fondamentale sapere che l’espressione sintomatologica è solo un aspetto del disagio. Pertanto, il recupero del peso non implica la guarigione. Sottovalutare questo aspetto implica il rischio di pericolose e dolorose ricadute.
Dunque è necessario non focalizzarsi in maniera rigida e controllante sul momento del pasto, a meno che non ci siano indicazioni esplicite da parte dei curanti, sarebbe utile stemperare la tensione, parlare di altro, togliere l’attenzione dal cibo.
In più, non modificare e sconvolgere la propria vita sulla base della persona sofferente contribuisce a limitare l'impatto distruttivo che il DCA comporta su tutto il nucleo familiare.
È necessario cercare di informarsi e chiedere aiuto a professionisti in grado di guidare e accogliere l’altro, i propri vissuti e interrogativi. Inoltre, coloro che gravitano attorno a chi soffre del disagio sono un’importante risorsa, poiché possono indirizzare, sostenere e incoraggiare nel chiedere aiuto.
È importante avere dei validi strumenti al fine di aiutare l’altro.
Conoscere la patologia, comprenderla nelle sue caratteristiche e nella sua evoluzione è un passo indispensabile. Cercare una risposta univoca ad ogni singolo interrogativo sarebbe superficiale e riduttivo.
Chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare ha una propria storia che è unica nel suo genere, non può essere trattata attraverso protocolli standardizzati, così come le famiglie da cui provengono non sono tutte uguali. Richiedono rispetto, accoglienza e un’equipe multidisciplinare in grado di aiutare l’altro a trovare le proprie risposte, il proprio modo di far fronte al momento di crisi e sofferenza.
Coloro che gravitano attorno al disagio vanno sostenuti, coinvolti e aiutati.
Non domandatevi di chi sia la colpa, ma interrogatevi su cosa potreste fare adesso.