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Il primo scambio relazionale avviene attraverso uno scambio nutritivo. Allo stesso modo, il primo atto nutritivo avviene all'interno di una relazione affettiva.
All'interno del lavoro clinico e, di frequente, durante gli incontri di prevenzione condotti presso le scuole primarie e secondarie, spesso viene domandato come poter riconoscere i primi segnali di un Disturbo del Comportamento Alimentare (DCA).
Seppur la domanda posta sia identica, è necessario evidenziare come provenga da target e contesti distinti, da bisogni e desideri specifici, richiedendo pertanto risposte differenti.
È importante partire da un presupposto di base che possa permettere una sana e profonda riflessione, conseguentemente un agire funzionale quando interagiamo con persone che soffrono di tale disagio. Abbiamo precedentemente sottolineato come alla base dell’assunzione di cibo vi sia sempre un’esperienza interpersonale satura di implicazioni e complicazioni affettivo-emotive.
La stretta alleanza tra funzione nutritiva e dimensione psicologica rende, perciò, l’alimentazione un terreno sensibile, un’area particolarmente vulnerabile, un terreno fertile all’instaurarsi di difficoltà, problematiche e questioni personali.
La questione non è con il cibo, non risiede in esso, ma è attraverso il cibo, in quanto il cibo e il corpo divengono unico mezzo di espressione di un disagio dalle ampie sfaccettature. In questo articolo parleremo di:
Sicuramente, in tale contesto, lo sguardo di un genitore, di un’amica, di un fidanzato, di compagni di vita, di persone significative per noi, possono essere determinanti, poiché possono dare il via ad una rapida e opportuna presa in carico del disturbo attraverso la consultazione di professionisti del disagio psicologico.
Prevenire, ma anche essere in grado di accorgersi di ciò che non va, accettarlo e non ignorarlo.
Ecco un elenco pratico dei principali campanelli d'allarme a cui prestare attenzione:
Dal punto di vista comportamentale invece, ci si accorge di una variazione nello stile alimentare:
Chi soffre di un disagio alimentare ne è difficilmente consapevole, soprattutto durante la fase iniziale in cui si nega ogni tipo di atteggiamento, si rifiuta l’aiuto offerto poiché si è estremamente convinti di avere tutto sotto controllo, ma soprattutto di non avere alcun tipo di problema.
Il “va tutto bene” o, il “non può capitare a me”, “faccio da me”, o ancora, “sono in grado di fare da solo/a”, è determinante, poiché è alla base di tutti quei meccanismi che impediscono la richiesta d’aiuto.
Il senso di colpa e la vergogna, pilastri fondamentali e sempre presenti in chi soffre di tali disagi, ma presenti anche in chi li circonda, portano alla negazione della problematica e all’attivazione di tutti quei comportamenti atti ad insabbiare o nascondere tutto ciò che ho precedentemente elencato.
Ma soprattutto chi soffre di un Disturbo Del Comportamento Alimentare, sarà difficilmente disposto a rinunciare al proprio comportamento autodistruttivo, alla propria prigione, poiché esso è assolutamente, terribilmente, anche protettivo.
È il modo trovato per rispondere e affrontare uno o più problemi, il metodo che anestetizza la sofferenza. Ecco perché tali “segnali” potrebbero non essere riconosciuti con facilità.
C’è di buono che non in tutti i casi in cui riscontriamo alcuni dei segnali sopra citati, siamo nella condizione in cui il disturbo abbia già affondato prepotentemente le proprie radici nella vita del soggetto che mostra i primi sintomi. Per tale ragione, è proprio questo il momento migliore per rivolgersi a validi professionisti ed intraprendere un percorso di psicoterapia. Infatti, numerosissime sono le evidenze scientifiche che sottolineano come una rapida presa in carico del soggetto porti ad una prognosi migliore.
Se tessete relazioni con persone e crediate che ci sia qualcosa che non va, che l’altro stia soffrendo, non domandatevi cosa o dove abbiate sbagliato, non pensate che con l’amore salverete chi vi è accanto, ma agite.
Provate a costruire una condizione che renda possibile il dialogo, generate una condizione di sicurezza, di ascolto sincero e non giudicante, empatizzate con la sofferenza. Non domandate del cibo, non sottolineate ciò che mangia o non mangia.
Chi vi è accanto sta soffrendo e questo è il suo modo di comunicarvelo.
Guardatevi attorno, interessatevi, accogliete i segnali.
Ciò che vediamo è il primo, disperato e inconscio tentativo di chiedere aiuto.
Riconoscere i segnali è fondamentale per poter agire e offrire il giusto supporto a chi si trova ad affrontare queste situazioni. In caso di dubbi, cercate sempre il confronto con il vostro medico curante, lui saprà come suggerirvi.