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Cercavo di allontanarmi dalle responsabilità e dal peso del dolore alleggerendomi sempre più, spingendomi verso il cielo – racconta Anastasia – volevo essere come un palloncino pieno d’elio, ma poi la corda non era più ancorata al terreno, allora rischiavo di volare troppo vicino al sole o perdermi nell’universo.
Questa è la storia di Anastasia, una donna che ha combattuto e affrontato il problema dei disturbi alimentari. Nei due articoli precedenti abbiamo trattato e definito cosa sono i Disturbi del Comportamento Alimentare, detti anche DCA, ma non solo, abbiamo parlato anche di come si può sensibilizzazione e prevenire il verificarsi di tale patologia.
Lo step successivo? Guarire da questa malattia. Come si capisce dal racconto di Anastasia, questa malattia non è facile, ma da essa è possibile guarirne ed uscire vincenti.
È un percorso che ha bisogno di tempo e ce lo spiega la Dott.ssa Lobascio in questo articolo in cui parleremo di guarigione dai disturbi del comportamento alimentare.
Quali argomenti tratteremo? Qui trovate i principali:
C’è il tempo della malattia, il tempo della cura e c’è il tempo della guarigione.
C’è un tempo per tutto.
Le persone che soffrono di un Disturbo del Comportamento Alimentare sono moltissime. Secondo la Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare - SISDCA e attraverso i dati Istat aggiornati, si parla di numeri esorbitanti, circa 2 milioni.
Si tratta di psicopatologie molto gravi, invalidanti, patologie che compromettono significativamente la vita di chi ne soffre e di chi è al loro fianco. Spesso si cronicizzano, si presentano inizialmente in modo sottile, ma sono patologie viscide, si insinuano silenziosamente e prepotentemente nei pensieri, negli occhi, nella pelle, nella quotidianità di chi ne soffre, rubandone la vita.
Di Disturbi del Comportamento Alimentare si muore,
ma si può anche guarire.
Spesso la guarigione viene intesa come la completa remissione sintomatologica, quindi si pensa, in modo assolutamente riduttivo, che la guarigione avvenga nel momento in cui il soggetto riprende a nutrirsi, ad adottare uno stile alimentare definito “sano”, ad eliminare ogni metodo di compensazione autodistruttivo come il vomito auto-indotto. La guarigione, tuttavia, non è solo questo. Sarebbe riduttivo auspicare unicamente alla remissione sintomatologica: la sofferenza non si esplicita solo attraverso il sintomo.
Abbiamo appena detto che la guarigione non è solo quando il sintomo scompare e si annulla, proprio perché il malessere della persona non si spiega solo attraverso il sintomo.
Cosa vuol dire questo? Le parole hanno una potenza straordinaria, così come il termine guarigione porta con sé molteplici significati.
L’etimologia del termine guarigione ci parla di "Preservare, Difendere, Salvare dal Male" attraverso l'osservazione, il guardare, il diventare consapevoli. Con osservare intendiamo “guardare diligentemente, con gli occhi fisici e con quelli della mente”. Osservare per davvero genera una consapevolezza profonda e permette di volvere lo sguardo verso la "Luce".
Perseverare, difendere, salvare dal male,
osservare con consapevolezza.
Quando parliamo di guarigione, quindi, non possiamo parlare di protocolli o di procedure universali, di operazioni standardizzate da riprodurre per ottenere un risultato finale. Non esiste un protocollo valido per tutti, identico per tutti.
Per me la guarigione è il risultato finale,
“il prodotto” di un sapiente e paziente lavoro al telaio.
È il risultato di un complesso intreccio fatto di fili di spessore, materiale e colore differente che si intrecciano e si legano tra loro, ogni volta in modo nuovo, diverso, unico, speciale. Sciogliere i nodi, sbrigliare la matassa è possibile solo attraverso l’incontro con l’Altro, solo attraverso la Cura.
La guarigione è qualcosa di profondamente diverso, di assolutamente soggettivo, qualcosa che riguarda il singolo nella propria unicità e che va al di là della remissione sintomatologica. Non è solo quello però.
Un errore comune, un pregiudizio che appartiene a molti è pensare che nel giro di pochi mesi tutto finirà, che se si vuole davvero, se ci si impegna, si guarirà presto. È un errore, un bias della mente, un pregiudizio, inteso come pensiero che sta prima dell’esperienza.
La falsa illusione che si possa guarire in poco tempo, con frasi come “tanto sono in ospedale”, “mi basterà seguire la dieta”, “sto andando dallo psicologo, qualche seduta e risolvo tutto”, oppure pensare di poter fare da sé - “posso farcela da solo”, “smetto quando voglio”, “ho io il controllo di tutto questo”. Queste due sensazioni mostrano che da una parte c'è una forte resistenza verso la vera e autentica messa in discussione di sé, la fatica di andare a toccare i nuclei di sofferenza, e dall’altra parte c'è il profondo bisogno e il desiderio che tutto possa finire presto, che la sofferenza termini immediatamente e, preferibilmente, con il minimo sforzo.
Tutto e subito, esattamente come la logica che invade e investe la nostra quotidianità. Non c’è spazio per il pensiero, per la riflessione, per il sentire lento. Abbiamo bisogno di ottenere ciò che vogliamo immediatamente. Infondo, perché aspettare? Perché darci un tempo?
Quindi via alle terapie non terapie, a quelle fai da te o a quelle superficiali. L’obiettivo è eliminare il sintomo. Non chiediamoci il perché, il prezzo da pagare è troppo alto.
Onnipotenza, impossibilità di tollerare la frustrazione,
incapacità di “stare” nel dolore.
Eppure l’unica via è questa. La vita fa paura, la vita è difficile, ma guardarla da lontano non ci rende immuni dai suoi pericoli, dalle sue minacce e dalle sue bellezze.
Il problema è che quando il peso della vita si fa troppo grande, cerchiamo in qualche modo di sopravvivere e l’unica via che ci sembra pensabile e percorribile è quella di sottrarci, di privarci di ogni possibilità, di ogni opportunità, perché tutto, ormai, ha il sapore del pericolo. Ci costruiamo, così, senza accorgercene, la nostra bolla e ci sentiamo comodi al suo interno, ci sentiamo al sicuro.
Questa però è una terribile illusione.
Dalla nostra bolla possiamo vedere la vita che scorre, ascoltiamo musiche, melodie, lo spettacolo della vita va in scena, ma niente e nessuno può toccarci. Non ci sono spiragli, non c’è possibilità. Guardiamo, timidamente, furtivamente ciò che accade fuori, convinti che a noi proprio non interessi tutto ciò. Noi possiamo farne a meno!!!
Ecco, in una frazione di secondo, accade che non facciamo più parte della vita, la nostra bolla è diventata una prigione.
Guarire significa entrare a far parte della danza della vita, significa cercare e scoprire il proprio ritmo, imparare ad amare il proprio modo di muoversi, di camminare, di incontrare l’altro, di danzare.
Se guardiamo il mondo possiamo individuare l’orizzonte, possiamo guardare oltre, possiamo andare al di là, possiamo oltrepassare, perché in mano abbiamo gli strumenti che ci consentono di vivere il futuro.
Quindi no, non è questione di volontà, quindi no, non basterà uno schiocco di dita per porre fine alla malattia.
Bisogna capire e accettare che bisogna chiedere aiuto ad esperti,
che la guarigione è possibile solo attraverso la cura.
Il percorso di cura permette di lasciare andare le zavorre, ma richiede onestà, responsabilità, fiducia verso il curante, ma anche verso sé stessi.
La cura, come la guarigione, esiste grazie alla speranza.
All’anoressia, alla Bulimia, al Binge-Eating, all’Obesità c’è un’alternativa. Esiste un’alternativa migliore, difficile, ma migliore. Non si tratta di aspettare che il principe azzurro o la principessa venga a salvarci. È invece una forza, un desiderio che ci mette a lavoro e ci permette di esserci, di esistere, di vivere. Di curarci, di guarire.