L'intolleranza al lattosio è un problema sempre più diffuso, basti pensare che oltre il 70% della popolazione mondiale adulta manifesta una forma di intolleranza al lattosio. A livello italiano la situazione cambia di poco: secondo i dati forniti dall'EFSA, infatti, oltre il 50% della popolazione deve rinunciare al latte e ai suoi derivati, con valori crescenti man mano che ci si avvicina al Sud Italia. Di cosa si tratta esattamente? Come riconoscerla? Ne parliamo in questo articolo.
L’intolleranza al lattosio consiste nell’incapacità dell’organismo di scindere lo zucchero disaccaride lattosio nei due zuccheri semplici (monosaccaridi) che lo compongono: galattosio e glucosio.
Questo avviene per mancanza o presenza insufficiente dell’enzima lattasi necessario per fare avvenire questa scissione e fare quindi in modo che il lattosio venga assorbito dall’intestino tenue.
Non venendo digerito ed assorbito il lattosio giunge al colon dove viene fermentato dalla flora batterica intestinale provocando i classici sintomi da intolleranza. I sintomi possono poi variare di intensità in base all’effettiva presenza ed efficienza di lattasi, ma solitamente si presentano come crampi addominali, flatulenza e meteorismo, distensione addominale, digestione rallentata, sensazione di gonfiore e pesantezza, mal di testa, diarrea talvolta alternata a stipsi.
Ci sono tre diverse forme di intolleranza quali:
L’unico esame fino ad ora riconosciuto per fare diagnosi di intolleranza al lattosio è il Breath Test (o test del respiro). Il test prevede l’analisi dell’aria espirata prima e dopo l’introduzione di una dose specifica di lattosio. Il lattosio quando non viene digerito e giunge fino al colon inizia ad essere fermentato con produzione consistente di idrogeno. Se l’aria espirata dopo la somministrazione di lattosio risulta ricca di idrogeno allora è presente un’intolleranza.
Una volta ottenuta la diagnosi bisogna seguire un’alimentazione sana ed equilibrata priva di cibo contente lattosio per un periodo specifico consigliato dallo specialista che può andare dai 3 ai 9 mesi. In seguito si possono reintrodurre piccole quantità per valutare la reazione dell’organismo e verificare se vi sono cambiamenti nella propria tollerabilità.
Assolutamente no. Il lattosio non si trova soltanto in latte e formaggi, ma può essere presente in alcuni prodotti in piccole quantità come affettati, purè, sughi, dado da brodo, e tanti altri. Per questo motivo è opportuno leggere bene le etichette non solo dei prodotti alimentari, ma anche dei farmaci (molti contengono lattosio). Una dieta senza lattosio risulta comunque molto ricca e varia, basti pensare al latte delattosato o a tutti i suoi succedanei come latte di soia, di riso, di avena, eccetera.
Per quanto riguarda i formaggi, l’organismo potrebbe essere in grado di tollerare quelli molto stagionati (come grana, parmigiano e pecorino) poiché il processo di stagionatura riduce notevolmente il lattosio contenuto. Bisogna tuttavia prestare attenzione al consumo in quanto i formaggi stagionati apportano tanto sale e sono ricchi di colesterolo.
Inoltre sarebbe opportuno valutare con uno specialista il proprio intake di calcio ricordando che, anche in una dieta senza latticini, si può raggiungere facilmente il fabbisogno con: prodotti fortificati (addizionati di calcio), cibi che lo contengono naturalmente (come broccoli, spinaci, polpo, mandorle, soia, fichi secchi e gamberi) e valutare la possibilità di assumere un’acqua ricca di calcio.