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Terapia biologica nel morbo di Crohn: cosa c’è da sapere

Scritto da Dott.ssa Paola Perria | 28-set-2023 7.00.00

9' Lettura

La terapia biologica è considerata la principale strategia per trattare il morbo di Crohn di grado moderato-severo refrattario al trattamento farmacologico convenzionale. I farmaci biologici attualmente disponibili in Italia sono quattro, tutti sicuri ed efficaci. Tuttavia, la terapia biologica presenta delle criticità legate ai possibili effetti collaterali che è necessario conoscere. 

 

Ecco cosa leggerai in questo articolo:

  1. Perché si usa la terapia biologica nel morbo di Crohn?
  2. Come funziona la terapia biologica nel morbo di Crohn?
  3. La terapia biologica è indicata per tutte le persone con Crohn?
  4. Quali sono i rischi della terapia biologica del morbo di Crohn?
  5. La terapia biologica dura per sempre? Monitoraggio e follow-up

1. Perché si usa la terapia biologica nel morbo di Crohn?

La terapia biologica viene usata per trattare il morbo di Crohn perché è in grado di agire sull’infiammazione intestinale in modo più selettivo, profondo ed efficace rispetto ad una terapia antinfiammatoria standard. L’azione di questi farmaci mira a disinnescare le molecole infiammatorie che causano la malattia di Crohn e i suoi sintomi

Più in dettaglio, un farmaco biologico è un anticorpo di sintesi in grado di “dialogare” con il sistema immunitario usando la sua stessa lingua. Questi anticorpi, infatti, sono in grado di intercettare e disarmare esclusivamente quelle molecole che il sistema immunitario produce per innescare e amplificare la risposta infiammatoria contro le cellule erroneamente individuate come dannose

Il morbo di Crohn fa infatti parte delle malattie autoimmuni, causate da una disregolazione del sistema immunitario il quale attacca immotivatamente tessuti sani del corpo. Si tratta di una patologia con andamento ondivago, che alterna fasi di attivazione ad altre di remissione indipendenti dalla dieta seguita, e che può avere diversi gradi di gravità. L’infiammazione cronica che ne deriva è all’origine dei severi danni ai tessuti dell’intestino che forme particolarmente aggressive della malattia di Crohn comportano. La terapia biologica è la soluzione terapeutica prevista proprio nel trattamento dei casi più problematici.1,2

2. Come funziona la terapia biologica nel morbo di Crohn?

Entrando più specificamente nel merito del funzionamento della terapia biologica nel trattamento del morbo di Crohn moderato e severo, occorre capire cosa sono le molecole “bersaglio”. I farmaci biologici attualmente disponibili in Italia e testati per curare la malattia di Crohn sono quattro, tutti anticorpi monoclonali creati in laboratorio da cellule umane o chimeriche. Il loro meccanismo d’azione non è esattamente lo stesso perché diverse sono le molecole infiammatorie che sono progettati a colpire e che possono essere coinvolte nella genesi della patologia. 

Le malattie autoimmuni come il morbo di Crohn, infatti, sono estremamente complesse e si manifestano con sintomi più o meno severi a seconda della localizzazione e dell'intensità della reazione infiammatoria. Vediamo come agiscono i singoli principi attivi dei quattro farmaci biologici in uso:

  • infliximab, anticorpo monoclonale chimerico, sviluppato in parte da cellule di topo e, in parte, da cellule umane. Agisce selettivamente contro la citochina pro-infiammatoria tumor-necrosis factor alpha (TNFα), la quale ha un ruolo chiave nel promuovere la cascata infiammatoria del morbo di Crohn; 
  • adalimumab, anticorpo monoclonale interamente umano che, come il precedente, è diretto a bloccare l’azione proinfiammatoria della citochina TNFα;
  • vedolizumab, anticorpo monoclonale umano più recente rispetto ai precedenti, che agisce contro l’integrina α4β7 per impedire ai linfociti T (specifici globuli bianchi) di aderire alle pareti intestinali e contribuire alla risposta auto-immune.. Estremamente efficace nel portare la malattia a remissione anche nei casi in cui i farmaci biologici anti citochina TNFα abbiano fallito;4
  • ustekinumab, l’ultimo farmaco biologico in ordine di approvazione. Agisce legandosi all'interleuchina (IL)-12 e IL-23, molecole infiammatorie mediatrici per il sistema immunitario. Ottime performance anche per questo nuovo farmaco biologico, efficace quando gli anti-TNFα  non abbiano funzionato.6

3. La terapia biologica è indicata per tutte le persone con Crohn?

No, sono solo casi selezionati quelli che accedono alla terapia biologica. Il primo e principale criterio di selezione è il grado di gravità della malattia di Crohn. In generale, la terapia biologica rappresenta l’ultima linea di trattamento del morbo di Crohn e viene proposta quando:

  • la malattia di Crohn si presenta in forma moderata o grave;
  • non risponde in modo soddisfacente alle terapie convenzionali antinfiammatorie a base di corticosteroidi o farmaci immunosoppressivi;
  • esiste un'intolleranza alle terapie antinfiammatorie convenzionali;
  • il quadro clinico appare incompatibile con le terapie convenzionali.1,2,4,5

In caso circoscritti, la terapia biologica può essere prescritta precocemente, ovvero in caso di malattia particolarmente aggressiva che esordisca in età giovanile o pediatrica, in caso di patologie estesa o localizzata in zona perianale, con formazione di ulcere o fistole.1 

La gravidanza non è considerata invece una condizione incompatibile con la terapia biologica che, anzi, deve essere proseguita per mantenere lo stato di remissione della malattia. Tuttavia, non tutti i farmaci biologici in uso sono stati testati su donne in gravidanza con il morbo di Crohn.5

 

4 Quali sono i rischi della terapia biologica del morbo di Crohn?

La terapia biologica ha radicalmente migliorato le aspettative di vita delle persone con morbo di Crohn, restando tuttavia un trattamento non privo di rischi. Effetti avversi e possibili complicanze sono infatti conseguenze sì gestibili, ma spesso non prevedibili, né prevenibili. I farmaci di più lungo utilizzo, infliximab e adalimumab, ad esempio, mostrano efficacia comprovata nel portare e mantenere la malattia in remissione, consentire una guarigione della mucosa dalle lesioni infiammatorie e delle fistole quando presenti, nonché nel ridurre il rischio di recidiva dopo interventi chirurgici.1,3

Le terapie biologiche più recenti, a base di vedolizumab e ustekinumab sono risultate ai primi studi ancora più efficaci nel disinnescare la reazione immunitaria e nel promuovere la remissione dei sintomi del morbo di Crohn a fronte di minori effetti avversi.4,5 

Ciò detto, tali rischi esistono e vanno considerati. La terapia biologica può:

  • aumentare il rischio di contrarre nuove infezioni o di riattivare infezioni latenti e/o opportunistiche, ad esempio di natura virale o fungina;
  • aumentare il rischio di sviluppare altre patologie autoimmuni;
  • aumentare il rischio di sviluppare alcune forme tumorali;
  • portare a reazioni di sensibilizzazione o persino allergiche dopo le infusioni che includono: eritemi, edemi, mal di testa, prurito, febbre, comparsa di lividi ecc.2 

Il rapporto rischi-benefici resta senza dubbio sbilanciato a favore della terapia biologica per il morbo di Crohn. In base alle reazioni avverse individuali alla terapia che vengono costantemente monitorate, il personale medico è in grado di valutare quando il farmaco biologico sia, eventualmente, da sospendere.1,2,3 

5 La terapia biologica dura per sempre? Monitoraggio e follow-up

L’obiettivo da centrare quando si inizia una terapia biologica è la remissione del morbo di Crohn e dei suoi sintomi misurabile attraverso gli esami di controllo previsti per monitorare l'andamento della malattia. Significa che la persona in cura sperimenta un netto miglioramento della qualità di vita, ma che questo stato di cose potrebbe non durare per sempre. La malattia di Crohn, infatti, non “guarisce” mai, è una patologia cronica, che la terapia biologica può mantenere sotto controllo in modo eccellente. 

Cosa succede, però, se la si interrompe in assenza di sintomi?  La scelta spetta al personale medico sulla base di parametri specifici e sulla valutazione del rischio di recidiva, che varia da persona a persona. In molti casi, infatti, sospendere la terapia biologica potrebbe renderla meno efficace una volta che la si debba riprendere. Pertanto non è possibile stabilire a priori se l’assunzione dei farmaci biologici sia da considerarsi a vita, o meno. Ciò che è importante sapere è che una volta stabilito il piano terapeutico, e valutata la sua efficacia nella gestione della malattia di Crohn, un costante monitoraggio dei sintomi e un follow up della risposta all’azione dei farmaci è cruciale e in questo l’attivo coinvolgimento del/la paziente è necessario. 

A tal fine, oggi sono disponibili ottimi strumenti di autovalutazione, chiamati PROs, basati su questionari somministrati dal/a gastroenterologo/a di riferimento, attraverso i quali è possibile fornire un riscontro regolare sulla propria risposta alle cure biologiche sia sul fronte specificamente medico, che per quanto attiene alla qualità di vita generale.1,2,6 

Bibliografia

  1. Sied, I Farmaci biologici nelle Malattie infiammatorie croniche intestinali
  2. Healthline, 6 Things to Expect if You Take Biologics for Crohn’s 
  3. Simg, Morbo di Crohn: nuove prospettive per la terapia domiciliare
  4. Battat, R., Ma, C., Jairath, V. et al. Benefit–Risk Assessment of Vedolizumab in the Treatment of Crohn’s Disease and Ulcerative Colitis. Drug Saf 42, 617–632 (2019). https://doi.org/10.1007/s40264-018-00783-1
  5. Ema, Stelara INN-ustekinumab
  6. Millie D Long, MD, MPH and others, Changes in Patient-Reported Outcomes With Vedolizumab Therapy in Patients With Inflammatory Bowel Diseases (IBD): Results From the IBD Partners Patient Powered Research Network, Crohn's & Colitis 360, Volume 1, Issue 2, July 2019, otz020, https://doi.org/10.1093/crocol/otz020